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SCREDITARE ORBAN: UN RISCHIO PER L’OCCIDENTE

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L’emergere dei partiti sovranisti in buona parte dei Paesi dell’Unione europea è ormai a tutti gli effetti un dato incontrovertibile e direttamente connesso con la forte crisi economica figlia delle politiche di austerità imposte dai vincoli comunitari. Sui media occidentali comincia a trasparire un certo nervosismo per la vicinanza ideologica di questi movimenti alla Federazione Russa, utilizzata come contraltare al potere euroatlantico.
Ma negli ultimi mesi è cominciato a trasparire anche un nervosismo relativo alla situazione di un Paese centrale per i rapporti di forza nell’area dell’Europa centro-orientale. Il riferimento è all’Ungheria governata dal premier Viktor Orban. L’Ungheria infatti, pur trovandosi all’interno dell’Unione, è legata a doppio filo ai destini della Russia e dell’eventuale soluzione della crisi ucraina. Il perché può facilmente essere individuato nella gestione del progetto del gasdotto South Stream – qualunque ne sia il destino, in questo momento a quanto pare sfortunato – la cui ultimazione avrebbe cessato di fatto la dipendenza della russa Gazprom dalle pipeline ucraine.
Agli inizi di novembre il parlamento ungherese ha infatti approvato un emendamento che potrà consentire la costruzione di una pipeline da parte di un’organizzazione anche in mancanza di autorizzazione. Ciò corrispondeva pienamente alle necessità di South Stream, come ha avuto modo di osservare anche Attila Holoda, ex assistente alla Segreteria di Stato Orban nel 2012.(1)
Csaba Baji, a capo della partecipata statale ungherese Magyar Villamos Művek Zrt, che insieme a Oao Gazprom avrebbe dovuto occuparsi di gestire gli impianti attraverso una joint venture, ha del resto candidamente ammesso che l’obiettivo è quello di terminare le operazioni di costruzione “entro sei mesi”(2).
Tali dichiarazioni d’intento non potevano passare inosservate, così come la sempre più aperta posizione di critica di Orban verso l’Unione Europea, che ha visto il premier dichiarare, nel corso di un intervento pubblico tenuto nello scorso mese di luglio in Romania, la propria intenzione di trasformare l’Ungheria in una “democrazia illiberale” pur restando all’interno della cornice comunitaria. Il senso del termine è stato ampiamento spiegato dal leader magiaro, che ha osservato come le “democrazie liberali” si siano dimostrate un fallimento sul piano socio-economico, citando invece Russia, Turchia e Cina come esempi di successo basati su un modello privilegiante interessi nazionali.
L’allontanamento del Governo Orban dalla sfera d’influenza occidentale è evidente anche nel suo appoggio alla commissione parlamentare che dovrà occuparsi di monitorare le ONG riceventi fondi da Paesi esteri. “Noi in questo caso – ha dichiarato Orban – non abbiamo a che fare con esponenti della società civile, ma con attivisti politici pagati che cercano di favorire interessi stranieri”(3). Una soluzione questa già adottata dalla Russia di Putin nel 2012.
Nonostante tutto questo però questa innegabile vicinanza valoriale e di interessi non deve certo essere interpretata come supina sudditanza. Lo stesso Orban è infatti sceso in campo personalmente per difendere l’indipendenza delle proprie scelte da qualsiasi condizionamento esterno e anzi rivendicando l’importanza della presenza di uno stato come l’Ucraina tra i confini ungheresi e quelli russi (4).
Dichiarazioni di questo tipo sono destinate a porre in evidente imbarazzo il blocco euroatlantico che del resto non avrebbe vita facile a sostenere anche solo mediaticamente un’opposizione interna. Alle ultime elezioni politiche di aprile 2014 infatti la coalizione Fidezs-KNP di Orban ha rivinto con il 44,54% delle preferenze, quasi 20 punti percentuali in più della coalizione di centrosinistra “Unity”, scioltasi però subito dopo il voto lasciando il ruolo di maggior oppositore al partito nazionalista Jobbik (20,54%), il quale peraltro e a differenza di Orban ha più volte manifestato posizioni decisamente filorusse e antieuropeiste come ad esempio la volontà di aderire all’Unione Eurasiatica (5).
A ciò vanno aggiunti i dati economici che vedono una progressiva diminuzione della disoccupazione (che in tempi di piena crisi finanziaria globale è passato dall’11,4% di maggio 2010 al 7,9% di Maggio 2014) a fronte della politica di “workfare” del Governo, volta a un sempre più incisivo intervento pubblico nell’economia per favorire l’accesso al mercato del lavoro.(6)
Tali dati mostrano come l’Ungheria di Orban possa si rappresentare un inquilino scomodo per il “condominio” di Bruxelles, ma come la sua posizione sia però forte di dati macroeconomici e consenso popolare tali da sconsigliare qualsiasi manovra di screditamento, che non farebbe del resto che favorire i consensi di formazioni potenzialmente ancor più restie a collaborare con gli organi comunitari.

NOTE
1. http://www.bloomberg.com/news/2014-11-03/hungary-opens-the-way-for-south-sream-as-orban-defies-eu.html
2. http://www.napi.hu/magyar_gazdasag/magyarorszagon_tarolhatjak_mas_allamok_foldgaztartalekat.588676.html
3. http://www.bloomberg.com/news/2014-07-28/orban-says-he-seeks-to-end-liberal-democracy-in-hungary.html
4. http://www.politics.hu/20141106/orban-hungary-under-us-pressure-due-to-south-stream-paks/
5. http://www.foreignaffairs.com/articles/141067/mitchell-a-orenstein/putins-western-allies
6. http://www.eastjournal.net/ungheria-workfare-allungherese-un-modello-di-successo/45044

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